lunedì 20 giugno 2011

BIG MAN

"NULLA HA MAI FINE". LETTERA DI UNO SPRINGSTEENIANO A CLARENCE CLEMONS.

“It’s over”. Queste sono le parole, leggenda o meno, che Bruce Springsteen comunica con una telefonata a Clarence Clemons, impegnato in tour con Ringo Starr, nel lontano 1989. It’s over Clarence… è finita. A quella frase Grande Uomo, convinto che Bruce facesse riferimento alla sua temporanea esperienza con Ringo Starr and His All Starr Band, felice come un bambino che dipinge risponde: “Ok Bruce, I'll be right”, pronto ed ansioso nel tornare di nuovo in pista con i suoi Blood Brothers. Ma aveva capito male Grande Uomo… ciò che era finita era un’altra storia… quella di Bruce Springsteen & The E Street Band.
Quello che avverrà poi è scritto negli annali del rock: dieci anni di pausa coatta e poi, tutti, di nuovo assieme, con una combriccola ampliata e con un sound più esplosivo e raffinato che mai. Ma allora, in quel lontano 1989, Grande Uomo non accettò proprio la decisione del suo “Capo”… pare che, addirittura, non gli rivolse parola alcuna per lungo tempo a seguire.
Oggi, invece, e mi rivolgo a te, in prima persona, Grande Uomo, le cose sono andate un po’ diversamente, perché a pronunciare quelle aspre e crude parole, it’s over, forse anche solo a te stesso, all’ultimo sospiro, sei stato proprio tu. Ma questa volta, a non accettare le stesse, il loro senso, il loro volere, siamo noi. Si, proprio cosi, noi… non solo il sottoscritto, ma “noi molti”, perché devi concedermi la strafottenza, Grande Uomo, di farmi portavoce di quella grande famiglia di atipici rockettari che (chi più, chi meno, i suoi figliocci) da ormai remoti tempi si definisce orgogliosamente e testardamente Springsteeniana, Estreetbandiana ed oggi, più che mai, Clemonsiana.
Ti dico ciò, amico mio, perché per quelli come noi che si vive i concerti, il rock, la musica non come semplice ammazza tempo o passeggero diletto, ben si come  religione, con tanto di profeti da osannare ed emulare a testa alta, non esiste nulla, niente che abbia la maestà o la prestanza di prosciugare quelle emozioni, che qualche accordo, un po’ di note, o svariate parole messe assieme ne danno sorgente, e  che poi, come un fiume in piena, sgorgano dentro te… non c’è chiusa, argine o diga che tenga! E gran parte di queste emozioni, Grande Uomo, ce le hai regalate tu. Si, proprio tu, con il tuo fucile, quel saxofano che per lustri ha sparato melodie che, per il loro travolgere, non potevano non colpire dritte al cuore, quello stesso saxofono, impasto di plastica, silicone e ferraglia, che è riuscito a trasformare nello stesso arco di tempo l’aria vuota nelle più magiche delle musiche.
 E queste emozioni resteranno per sempre vive in noi, come tali lo saranno i ricordi… quelli dei tuoi scheck, spassosi siparietti da accademici teatranti con Bruce, della tua buffa e baritonale voce comunque da standing ovation, dei tuoi “da copione” sporadici ed intensi sorrisi, e soprattutto quelli del tuo, a posteri eterno, immortalamento, spalla a spalla, col tuo amico di sempre in quel quadro che è divenuto la copertina di uno dei capolavori della Storia del Rock, Storia nella quale tu, Grande Uomo, ci sei entrato di DIRITTO e con GLORIA, in un posto d’onore, dove nessuno, nemmeno Apollo, ti ci potrà mai più schiodare.
Quelli come te, fratello, non si dimenticano cosi facilmente, sappilo, specie dopo migliaia e migliaia di chilometri, ettolitri di sudore, e monete del vecchio e nuovo conio piacevolmente ed orgogliosamente consumati per vederti, ascoltarti, od anche solo sfiorarti... non meno di quel piccolo eroe del New Jersey che, di fianco la tua maestosità, diveniva, ad ogni concerto, simpaticamente ancor più minuto.
Per questo, Grande Uomo, non è finito proprio un emerito cazzo! Perchè non ho mai avuto più salde certezze di quante ne ho ora, in questo istante, mentre sto ascoltando il tuo incantevole assolo su Jungleland ed una lacrima, devo ammetterlo, sta attraversando il mio viso: che alla prossima maratona di Bruce tu, Grande Uomo, sarai ancora dei nostri, che sia ad Asbury, al Madison, in qualche fottuto palazzetto metropolitano, oppure a San Siro, magari di nuovo sotto il diluvio, tutti insieme, noi sotto e voi un gradino su, lost in the flood, certi pero che questa volta i lampi nella notte saranno i tuoi immensi scintillanti occhi che troneggiano dalle ombre della tua pelle, i tuoni, gli assoli del saxofano sprigionati dalle tue spesse e carnose labbra, la pioggia, le tue lacrime… lacrime di gioia, per la consapevolezza di essere di nuovo uno degli artefici dell’ennesimo grande spettacolo del rock, e, soprattutto, per l’emozionarti nell’udire ancora, dietro alle parole di Bruce: ”The biggest man you've ever seen…”, noi, con un boato unisono, urlare il tuo nome.
Goodbye  Big Man

martedì 7 giugno 2011

Meditando

E quando il Mezscal, dal fondo delle sua ancor integra bottiglia, inquieto, angosciato osservò il tappo roteare, allora, e solo allora, realizzò che la sua prossima fine, l’improrogabile, non si sarebbe fatta attendere molto: quella bramosa, agognante pupilla non attendeva altro.


La ragione della scienza del surreal non ha clemenza, ed offusca con potenza dello stesso la demenza.

NOTTE CUBANA

Nei viali sapori di sabbie, benzine e di sigaro,
colori di muri dipinti e sculture d’ebano;
baccano si fa nelle case, perse nelle Favelas,
festa in ogni paese, fuori è già sera.
Lumi soffuse ninnate dal vento caliente dei mari del sud,
insegne vecchie, spente dal tempo qualcuno butta giù,
stufe guardie di ronda, custodi in tutta L’Havana,
un gabbiano è preso da un onda: è notte cubana.

E danzatrici vestite di nulla mentre leggero un suono le culla,
suono di tromba, violino, flauto e chitarra fino al mattino
e venditori di erbe e coralli cercano gloria tra fuochi e balli
mentre le donne di vita con canti offrono gioia a tutti i passanti,
come sirene nelle favole,
come i tanti viaggi e sogni fatti di parabole,
tra stanchi poeti, finti gioielli,
sabbie d’argento, loschi bordelli.

Finestre di legno cadenti, stanche barcollano,
remoti vessilli stinti nel cielo s’innalzano,
odore di riso e pescado, barche sommerse dal vuoto,
brillano luci lontano: stelle sul molo.
Cantine e botteghe di voci, di fumo s’impregnano,
giovani folli a colpi di Rum si affrontano;
diecimila chilometri a Mosca, la tele regna sovrana,
il vento bussa alla porta: è’ notte cubana.

E nei vicoli ispanici, bianchi, negri, meticci adornano i banchi,
una donna dal viso piangente chiede profumi all’uomo d’oriente,
i bambini con i palloni tirano calci al tempo e ai signori
ed un uomo dall’abito sporco porta frescura con succo di cocco,
come il ghiaccio dell’estate
o come  possono le fate,
tra auto passate, salsa e mohito,
piazze ammassate… sogno rapito.

Mille motivi per andare avanti, ladri, puttane, maghi e cantanti,
e lo yankey  va predicando dollari, finte illusioni ed embargo,
ed un vecchio soldato ormai pazzo, spoglio è di vesti sopra un terrazzo,
indosso ferite di guerra quando si dava battaglia su in Sierra.
Ma l’america è vicina,
l’uomo nero si incammina.
Kruscov to est, in west Kennedy.
Old Bucarest in tropici.
Tra gioie, dolori, qualche gommone,
mille santoni…ma un sol padrone.