sabato 14 maggio 2011

PARABOLA DI UN SOGNO. Recensione di Adriana Faranda (scrittrice)

Un libro amaro, Parabola di un sogno.
Dove la parabola dell'utopia anticipa e domina tragicamente la parabola dell'ascesa e del "riscatto" sociale. Un libro dove non ci sono buoni e cattivi, né morale, o coscienza.
Una storia cinica alla Chabrol, con un finale americano e beffardo.
Un libro in cui si può intravedere più di una metafora…
la fine dell'utopia come dimensione filosofica, ovvero… il primato dei modelli
i due figli… il nord e il sud, i privilegiati e i diseredati.
Una storia maledetta, congegnata con ironia e intelligenza, che apre un desolante spaccato su alcuni aspetti della cultura dell'oggi.
Solitudine e misoginia, in questo protagonista senza amore e senza rapporti, frustrato da un lavoro alienante e ripetitivo.
Il dramma dell'emarginazione su cui si innesta quello dell'autoemarginazione…
Nessun incontro, se non venato di disprezzo. Nessun dialogo, se non fugace – come quello con Fede. E anche qui gli enunciati una volta poetici dell'utopia sono già contraddetti e negati dalle scelte ormai in corso, dai sogni divenuti prosaici, dall'individualismo esasperato. Quasi un vestito, ormai, una danza piumata per attrarre l'unica donna che sfugge all'amore mercenario.
L'utopia ha già fatto il suo giro di boa, la sua traiettoria declina inesorabilmente verso lo stagno del rancore e vi annega, corrosa dall'invidia, imprigionata nei legacci della misantropia.
In un mondo in cui gli orizzonti si spingono verso l'infinito nel cosmo, frugando fino alle origini della vita e giocando con gli universi paralleli, gli orizzonti di Tommy recedono nel desiderio di una vita altrui. E poco importa che lui sia convinto che gli appartenga di diritto. Nessuna traccia di utopia, del desiderio di inventare l'inedito, degli orizzonti sconfinati. E la traiettoria di Tommy procede incontro al suo destino.
L'incapacità di relazioni umane si fa progressivamente indifferenza alla vita. Nessun rapporto con il fratello ignaro, nessun tentativo di dialogo. Tommy è soltanto un occhio che lo spia, l'intento predatore e vendicativo, il giudizio già formulato. La convinzione di essere migliore. Un'altra metafora, forse involontaria?
La musica, una volta sfera di sublimazione del non vissuto, si fa sottofondo, colonna sonora di quella nuova vita tanto agognata, in cui sfuma gradatamente la vecchia identità di Tommy.
E l'assenza di qualsiasi morale riemerge nella conclusione del libro, dove il rifiuto della giustizia si tinge di codardia esistenziale, dove non è la coscienza che si affaccia ma i suoi stereotipi: ideologico e sociale. Dove le ragioni del tacere, che si ammantano della retorica del rifiuto della giustizia formale, cadono miserevolmente sotto il comando del giudizio sociale, con i suoi pregiudizi e i suoi tabù, con la sua scala dei valori: meglio, in fondo, essere uno che uccide prostitute…
La parabola è conclusa, e l'orizzonte un'insignificante linea retta…
Bravo, Wood! Non so quali fossero i tuoi intenti, ti conosco ancora troppo poco… ma hai scritto un gran libro. Non tanto sulla parabola di "un" sogno, ma sulla crisi dell'utopia nel nostro mondo…

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