domenica 22 maggio 2011

L'AUTISTA DI CONAN DOYLE

"Avevo il diritto di viverla, quella felicità. Non me lo avete concesso. E allora, è stato peggio per me, pegggio per voi, peggio per tutti...Dovrei rimpiangere ciò che ho fatto? Forse. Ma non ho rimorsi. Rimpianti si, ma in ogni caso nessssun rimorso..." Cosi scrive su un quaderno a quadretti, prima de essere colpito a morte dalla gendarmeria, Jules Bonnot, il nemico pubblico di Parigi nei primi anni del secolo, geniale rapinatore, appassionato di auto e motori, capo di una banda di anarchici che si prese beffa dell' "ordine" francese per un lungo periodo di tempo facendo così scattare una feroce repressione antiproletaria. La biografia di Bonnot è davvero singolare: operaio, soldato, autista nientemeno che del creatore di Sherlock Holmes, Sir Arthur Conan Doyle; e poi il sogno di una felicità rabbiosa da lungo tempo accarezzata ma mai raggiunta per via del suo attivismo come sindacalista non consono agli stilemi governativi del tempo, che lo trasforma nel primo rapinatore ad usare le automobili e nell'anarchico convinto di dover colpire la società borghese senza mezze misure, creando il caos, facendo più rumore possibile, rischiando il tutto per tutto. Eroe tragicamente romantico, Jules Bonnot, al quale ho voluto dedicare una mia canzone che forse in seguito pubblicherò tra queste pagine, rientra a pieno titolo nei miei "banditi senza tempo".

venerdì 20 maggio 2011

UN POSTO CHIAMATO LIBERTA

Marciano lungo i sentieri, irregolari, stanchi e fieri,
senza forze e ne fortuna, illuminati dalla luna,
tra fango, neve, vento, pioggia, polvere, cercando Libertà.
Guardano le foto, tristi: sorrisi, visi, mai più visti;
gettano fiumi d’inchiostro da spedire a nessun posto,
raccontando come possa essere diversa Libertà.
Poi, nel mentre, nel cammino, con fucili per cuscino,
foglie secche, legna, erba, fuochi accesi per coperta,
dormono, cercando di toccare, di sentire Libertà.
Si nutrono di fiori e bacche, fanno scorta nelle sacche
di acqua insipida e coraggio da portare lungo il viaggio,
viaggio verso il paradiso mai visto, chiamato Libertà.
Lavano le pelli sporche in freddi fiumi, grigie pozze,
suonano chitarre vuote, ormai scordate, senza note,
cantando a cori spenti quanto è bella, quanto è dolce Libertà.

Lontani da popoli e città, aspettando quel giorno che verrà.
Mai guerra, ne armata, ne pietà, mai uomo, ne Dio li fermerà.

Osservano al buio il nemico, ogni sua mossa, ogni sospiro,
lottano contro Natura impervia, muta, ostile, scura,
diffidano il contado, inconsapevole di come è Libertà.
Hanno tutti nella tasca, intorno al collo o bene in vista,
scolpita in ebano od in noce, faggio, frassino, una croce
pronta da donare a chi per sorte non raggiunge Libertà.
Non sanno più cos’è l’amore, il gioco, l’ozio, la passione,
non hanno un letto, ne una casa, vagano senza una meta,
col desiderio, un giorno, d’incontrare sulla strada Libertà.
In giorni, mesi di tempesta, niente, nulla più gli resta,
ne una donna, neanche un nome, una patria, un salvatore,
solo la speranza, ma anche il dubbio di trovare Libertà.
Piangono, la notte, soli, senza lacrime o rumori,
aspettando un nuovo giorno, c’è chi spera un altro mondo,
dove in ogni piazza, in ogni luogo bene iscritto è Libertà.

Lontani da popoli e città, aspettando quel giorno che verrà.
Mai guerra, ne armata, ne pietà, mai uomo, ne Dio li fermerà.
Lontani da popoli e città, aspettando quel giorno che verrà.
Mai guerra, ne fronte, ne pietà, mai uomo, ne Dio li fermerà.

martedì 17 maggio 2011

L'ULTIMO SALTO

Le voci erano soffi, i fari lumi, negli spalti, sulle scale,
con il suono del silenzio si attendeva tutti assieme il gran finale.
Poi il rullare con tamburi, luci a sfera nell’oscuro e in un istante,
ritto stava il trapezista,  lontano, nel suo mondo, fra le tende.
Muscoli d’acciaio, mani salde e ferme,
negli occhi la stessa freddezza  di sempre,
veloci erano i passi, leggero il portamento,
per niente e per nulla diverso dal vento.

Spettacolo dell’anno, quella sera c’era un pubblico impaziente,
prima volta per un circo, non più reti, solo il vuoto, solo il niente.
Beh, poco di diverso o tutto uguale per il piccolo gitano,
Barone Rampante, Soldato, Uomo Ragno, Re tzigano.
Con le scarpe d’oro, vesti d’argento,
gli abiti vecchi segnati dal tempo,
il viso rifletteva i tanti bagliori,
bello sembrava di mille colori.
Sensazioni, immagini, ricordi di tanto tempo fa,
quando in un tendone c’era il sogno, c’era il mondo e poi chissà.

E come sempre un grande salto e d’incanto
come un uccello volteggiava là,
da giù l’orchestra improvvisava un fandango,
ci si chiedeva se non era realtà.
E come sempre un grande salto e d’incanto
sfiorava il telo a strisce bianche e blu,
il trapezista andava sempre più in alto,
sembrava stare oltre le stelle e più in  su.

Un passo, dopo un altro, braccia larghe, corda tesa, via il respiro,
ballerino raffinato, sopra un filo con la folla già in delirio.
Un passo, uno di nuovo, ancora uno, toccava l’altra parte,
balzo dalla rampa, poi su un’asta retto solo dalle gambe.
E come d’incanto l’uomo dondolava
ma giù, da basso, qualcuno gridava:
forse per il caso o forse per errore,
la corda non resse alla forte tensione.

Inutile cercare la salvezza, un altro appiglio con le dita,
il fato era segnato, ne miracoli, ne santi o vie d’uscita.
la banda musicale si arrestava, fuori tempo, lì, in quel mentre,
tutto si fermava, si copriva, si chiudevano le tende.
Un attimo, un istante, veloce è la caduta
ma guarda l’avversa signora sfortuna:
per la prima volta niente reti in basso,
solo il fantasma, il ricordo di un pazzo.
Negli libri, nei diari, negli annali ne tracce e più  memoria,
del Re Tzigano o Uomo Ragno nessun posto nella storia.

E come sempre un grande salto e d’incanto
come un uccello volteggiava là,
da giù l’orchestra improvvisava un fandango,
ci si chiedeva se non era realtà.
E come sempre un grande salto e d’incanto
sfiorava il telo a strisce bianche e blu,
il trapezista andava sempre più in alto,
sembrava perdersi nel cielo e più in su.

lunedì 16 maggio 2011

Capitan Corto

Ottimo vino... mi ispira fantasia, viaggi e misteri.. Per questo stasera voglio parlare di un "bandito" un pò atipico. Uno di quelli usciti dalla magica matita di Hugo Pratt: capitan Corto Maltese. Marinaio gitano, giramondo solitario, gentiluomo di ventura il Corto è divenuto negli anni il mio archetipo di avventuriero romantico ed anche, per eccellenza, il mio disincantato personaggio, protagonista di infinite scorribande nei luoghi magici dell'avventura. Fu amore a prima vista tra me e il capitano, e me ne accorsi dopo che, per caso, lessi il suo primo numero (anche se già invecchiato di una decina di anni): "Una ballata dal mare salato". Per gli adolescenti abituati agli strampalati, divertentissimi fumetti umoristici di Coccibill o Lucky Luke, questa era una sorpresa ricca di novità. E all'inizio neanche tutte gradevoli. L'oceano che presenta la storia, la cartina geografica per precisare i luoghi dell'avventura: puzzava di didattica e non potevo non guardarla con sospetto! Poi il protagonista che si faceva vedere a fumetto già iniziato in una posizione poco eroica (polsi e caviglie legate) ed apostrofato come "grosso maiale". Era chiaro, non si trattava di un fumetto scritto per giovani lettori, quello. Divenne nettare per appagare la mia fantasia assetata di viaggi! E cominciai a divorarmene avidamente. Per me Corto oggi, nonostante è tempo che abbia abbandonato i calzoncini a bermuda, appare tale e quale come prima: grandissimo, bello, sicuro, romantico. Una sorta di dio terrestre o marino. O ancora un supereroe interiore che magicamente trasforma un insuccesso in una virtù, perchè questo - il suo, il nostro - è un mondo che comunque non meriterebbe le sue vittorie. Poi, è il protagonista dell'attesa, degli appuntamenti mancati, delle scommesse vinte e non riscosse, degli amori rimpianti, e un po mi ci vedo.

SIGNOR UTOPIA

Con Thomas More , latinizzato in Tommaso Moro ( 1480 - 1535 ) gli ideali umanistici si diffondono in Inghilterra con gli stessi caratteri che avevano avuto in Italia nel Quattrocento : gli studi letterari non devono mettere capo a un' oziosa erudizione , ma promuovere un fattivo impegno nella realtà civile . Questo impegno More lo testimoniò con la vita : cancelliere del regno , egli fu condannato a morte da Enrico VIII per essere rimasto fedele alla Chiesa cattolica , quando il re , per risposarsi , chiese al papa , senza ottenerlo , l' annullamento del precedente matrimonio . Carattere politico ha anche l' opera più nota di More , Utopia ( 1517 ) . In essa More delinea , sulla scia di quanto già aveva fatto Platone , il suo ideale politico , che immagina realizzato in un' isola chiamata appunto Utopia , cioè il " non luogo " ( dal greco " ou " , non , + " topos" , luogo ) o " luogo che non esiste " . Di qui l' uso del termine per indicare ogni progetto socio-politico che abbia un valore esclusivamente ideale , non trovando concreta realizzazione da nessuna parte del mondo . E' interessante notare la distinzione tra i due aggettivi , utopico e utopistico che derivano dal progetto politico di More ; "utopistico" è un qualcosa di negativo che si pretende realizzabile , ma che per fortuna non lo è : utopistico è il Comunismo russo ."Utopico" è un concetto tipicamente progressista che induce a vedere il mondo , che molti credono buono così come è , imperfetto e migliorabile: il progressista ha un atteggiamento sempre volto al cambiamento . Tornando a More , alla base della sua costituzione ideale egli pone il rifiuto della proprietà privata , come già aveva fatto Platone , che é principio di egoismo e di conflitto . Gli abitanti di Utopia , del resto , non lavorano a scopo di lucro , ma soltanto per provvedere ai beni necessari alla propria esistenza . In questo modo , dal momento che tutti esercitano un lavoro manuale ( pure le donne ) , le ore di attività possono essere ridotte a sei al giorno . Rimane così molto tempo per l' educazione : particolare attenzione viene riposta nello studio delle scienze naturali e della filosofia morale , mentre sono trascurate discipline astratte come la logica e la metafisica . Dal punto di vista politico - amministrativo i cittadini dell' isola sono divisi in 54 comunità cittadine , rette da funzionari eletti democraticamente : ma nei casi di decisioni gravi viene convocata l' assemblea dell' intera popolazione . Da notare che il carattere politico di Thomas More é in rapporto con la situazione storica che si veniva creando nell' Inghilterra del '500 : in seguito all' appropriazione delle terre da parte dell aristocrazia (con gli "enclosure acts") e alla sostituzione dei vasti pascoli alla cerealicultura , i signori traevano più lauti guadagni dall' industria della lana , mentre i contadini erano gettati nella miseria ; onde , come More osservava amaramente , " i montoni divorano gli uomini " ; nella città ideale di Utopia , invece, non c'é miseria nè disuguaglianza: il lavoro é obbligatorio per tutti e ognuno lavora per la comunità . La comunione dei beni libera ciascuno dal bisogno e dalla paura , assicura cioè a tutti la vera ricchezza . Le magistrature a Utopia sono elettive e ciascuno , dopo le sei ore di lavoro quotidiano , é libero di coltivare il proprio spirito . A Utopia non potrà mai accadere , come invece accade nelle altre città , che uomini ricchi , privi di cultura e di moralità , comandino su persone colte e virtuose , nè che vi si accendano e si esasperino le lotte e gli egoismi . Per quel che concerne la religione , si tratta di una religione naturale , a fondo monoteistico ; pur professando religioni diverse , gli abitanti di Utopia ( gli utopisti ) riconoscono nei vari dei un unico Dio ; ciascuno é libero di professare la sua religione e può anche fare opera di proselitismo , ma senza usare mezzi coercitivi : chi li usa é condannato all' esilio o alla servitù . Tuttavia nell' opera traspare un netto rifiuto dell' ateismo da parte di Tommaso Moro ; se é vero che ad Utopia vige la più totale libertà di culto religioso , é altrettanto vero che gli atei sono esclusi ; essi , infatti , sono , secondo Moro , i più intransigenti e intolleranti : vogliono a tutti i costi inculcare nelle menti altrui le proprie concezioni . Il legislatore di Utopia si é di proposito rifiutato di legiferare in materia religiosa e di imporre particolari riti o credenze perchè forse Dio stesso ama la varietà e la molteplicità dei culti . Questo motivo , che più che di tolleranza può essere considerato di vera libertà , deriva direttamente , nell' immagine e nell' espressione , da Cusano e da Ficino : é il motivo che sfronda le diverse ispirazioni religiose dei propri elementi differenziali e le risolve , in definitiva , in un' unica religione entro i limiti della ragione . Può sorprendere che ad affermarlo sia chi , come More , é animato da una particolare fede , quella cattolica , e per essa ha anche affrontato , con serenità , il martirio . Ma in realtà la riforma di More é realizzata nell' immaginario stato di Utopia , vale a dire fuori dallo spazio , nella pura ragione del pensiero , non é riforma propriamente volta ad operare in concreto in una concreta società .

PARABOLA DI UN SOGNO. Recensione di Joe Carobolo (giornalista)

L'ideale rivoluzionario e l'utopia…alla base del romanzo.
La chiave che userò per raccontarvi "la Parabola di un sogno" sarà ben distante dalla critica e dalla riflessione sulla storia in se…ho deciso di stimolare quanti di voi gradiranno, regalandovi qualche spunto sul suo autore…un essere talmente particolare…il cui studio mi occupa gran parte della vita…non vi è mai da annoiarsi dinanzi ad un "pazzo" del genere.
Mi piace raccontarvi di una sera di qualche anno fa…
Vale la pena precisare che io e l'autore della Parabola siamo cm il diavolo e l'acqua santa…con ideali talmente opposti, stranezze talmente contrastanti da aver parecchio da dire…o meglio da ridire….oppure contraddire…ogni volta….talmente differenti dicevo…da far spaventosamente pensare che in realtà siamo la stessa identica, medesima persona di sesso diverso!
Comunque…discorrere sugli ideali…è sempre stato motivo di lite funesta!
C'è chi si incontra al bar…di sera…e chiacchiera di fesserie…si svaga…si rilassa…e c'è chi invece incontra Wood al bar…e torna a casa più sconvolto di prima…dopo cinque ore di confusissimi discorsi che vanno dalla nascita del pensiero liberale…passano per la guerra di Spagna…senza continuità tra una doppio malto e quattro grappe…atterrano su una piadina alle quattro del mattino…e si concludono tra un pezzo del "Boss" e una citazione di Wilde…una mezza lite sul termine "rivoluzione"…l'inesistenza di Dio…la superstizione…la distanza tra terra e cielo…conflitto Berlusconi –italia….fascismo sociale…BOOOOOM!
Dio Santo…se davvero mi metto a riflettere sulle tantissime cose che vengono fuori da una serata con Wood…mi si torce il cervello!!! Poi da opposti quale vi dicevo…la polemica raggiunge toni grotteschi…ahahahaha mi piace!
Comunque… quella sera in particolare ci soffermammo su un tema caro al Wood…tanto che ne trasse ispirazione evidente per la sua fantastica opera…L'UTOPIA!
Era la sera di natale..nn lo dimenticherò mai…gli regalai una copia, neppure delle migliori…na ciofeca, dell'utopia di Moro….lo resi l'uomo più felice della terra!
Di questo giovane dovete assolutamente sapere che si entusiasma a volte per cose piccole…a volte per cose davvero troppo piccole…( lo dico con affetto è ovvio) per questo motivo il suo modo di raccontare…di scrivere…è semplice…e questa semplicità…l'assenza di ricercatezza a tutti i costi…sta alla base della purezza e della bellezza della Parabola.
E' un bambinone il mio Wood…uno pieno di dubbi…a cui piace porsi una marea di domande!
C'è un capitolo della sua opera…in cui esprime chiaramente i suoi ideali…e lo fa parlando con una donna che chiama Federica…o meglio….Fede…io ho letto in questo parlare con Fede della sua fede…dei suoi principi…un non so che di dolcemente poetico…e di impatto…
La fede per le idee non è roba da poco…non è cosa da tutti! Non è detto che sia più nobile chi va in chiesa e poi impreca…no amici miei…
Wood ha certo piu' fede di tanti cattolici che conosco…Wood crede nelle sue idee…
E le idee…muovono la parabola di un sogno….la animano…è un libro che sembra parlare…per quanto forte è il peso delle idee…sembra muoversi…come ho detto a Gianluca…" il tuo libro mi fa compagnia…leggendo mi sembra di chiacchierare realmente cn altri…e nn mi sento mai lettore passivo…le parole…sembrano rispondere alle mie domande e ai miei dubbi"
IL MIRACOLO CONTINUO DELLA FORZA DELLE IDEE…CHE RUMOROSAMENTE IVADONO L'ANIMA….
L'utopia…domina il cuore di Wood! Il suo Tommy…rincorre un sogno…l'intreccio parabolico….lo spinge oltre quel sogno….
Chi è…vi chiederete a non essere affascinato dalla Utopia?
Dal mito dell'età dell'oro…Platone…Aristofane…Aristotele…Diogene…Zenone…il Cristianesimo e le sette ereticali…più banalmente il pensiero popolare…i Fratelli moravi….Gioacchino da Fiore….Munzer….e poi l'utopia dell'età moderna…Moro…Bacone…Campanella…Cyrano de Bebergerac….Fenelon….Voltaire….Swift….
Utopia…ucronia…distopia…
Con lo sviluppo industriale….dal mito della bellezza e della gioia…l'utopia in tal senso, l'ideale utopico diventa ideale rivoluzionario…vero e proprio…ribalta…lotta…RIVOLUZIONE!
E Wood attua la sua rivoluzione nella parabola di un sogno…che è la parabola di una vita…una rivoluzione interiore…sconvolgente…una rivoluzione del cuore….tormentata…una rivoluzione a ritmo di musica…che si conclude in una nuova ultima esaltante rivoluzione dell'esistenza!
Ah!!!
Il finale del libro… non è in realtà la fine…apre la strada ad una arditissima riflessione, costringe al pensiero, impone il silenzio ed il raccoglimento…
…che la Parabola di un sogno…riesca a coinvolgere il lettore e ad indirizzarlo verso una personalissima rivoluzione interiore?
Beh…è un augurio che vi faccio di cuore…
La rivoluzione…inizia sempre dal basso……ma soprattutto inizia sempre da dentro.
LASCIATEVI STIMOLARE!
La storia di uno comune…di uno sfigato tra tanti…è la storia di tutti noi…basta saperla leggere ad occhi aperti.

domenica 15 maggio 2011

JOE LO STRIMPELLATORE

"E' stato il bandito senza tempo che ci ha dato il la e che ci ha accordati. C'è chi sulla strada hai incontrato Elvis, chi Bob Dylan, chi molto tempo prima, Giovanni Battista o San Paolo: a noi è toccato lui, Joe Strummer.(....) Lui ci ha indicato la strada dell'appartenenza, della fede: il rock n' roll". Queste parole, uscite dall' anima dei fratelli Severini, danno una chiara spiegazione di quello che Joe Strummer è stato per alcune frange di generazioni degli ultimi due decenni del secolo appena trascorso. Io, Joe, non l'ho vissuto come loro. Non ho potuto "assaporarlo" da qualche parterre di un qualsiasi palazzetto di provincia, non ho potuto alzare il pugno con lui al grido di "I fought the low", e non ho potuto nemmeno non dormire la notte con la speranza di incontrarlo, magari dopo una sua esibizione, in qualche centro sociale metropilitano: la sua improvvisa scomparsa e la mia non longevità di vita sono state distanze troppo incolmabili. Ma ho comunque potuto viverlo a mio modo, a modo di tutti quei giovani che trovano nel rocker di vecchio stampo il rocker per eccelenza, un vadevecum, un icona da emulare, senza peli sulla  lingua  o sulla maglietta. Forse Joe Strummer  non mi  ha dato le emozioni  di un Dylan o di uno Springsteen, ma io lo considero comunque il rivoluzionario del Rock per eccellenza. E non mi riferisco soltanto alla genialitè di essersi  importato la reggae music con tutta la Jamaica e i filistei dietro, di averla fatta sua dopo averla goliardicamente fusa con il rock, il punk e l'england blues, ma anche, e soprattutto, all'ostinatezza, al coraggio ed alla sfrontatezza di aver sempre navigato controcorrente, su acque spesso impregnate di perbenismo borghese, e con tutta la sua barca, quella dei Clash. Joe è forse l'ultimo idealista del rock n' roll, l'ultimo ribelle che spara con una chitarra ed è di sicuro l'unico che - dopo aver dato tutto con la sola, vera, rock band degli anni '80 - ha deciso di appendere la sua "arma" al muro senza dar possibilità a dollari, capitalisti o interessi vari di farla schiodare da quel posto. Qualche tempo fa Joe lo strimpellatore se ne è andato, ma due cose addolciscono questa amarezza, rendendola un pò meno aspra: la consapovelezza che ogni giorno, ogni momento, ogni istante qualche sognatore sarà sempre pronto a sparare note come fossero colpi dopo aver ascoltato per la prima volta "London calling" e quella che, proprio mentre scrivo queste righe, Joe stia certamente lucidando il suo fucile, pronto a far ballare ancora una volta, per l'ennesima volta, anche il diavolo. Ciao Joe

sabato 14 maggio 2011

PARABOLA DI UN SOGNO. Titoli recensioni stampa

Romanzo avvincente e ricco di colpi di scena (Il Messaggero)

Le contraddizioni della modernità nell'esordio di Wood (Il Tempo)

Sapore di utopia in un romanzo perfetto (Il Manifesto)

Un libro con il sapore del rock (La Provincia)

Il Pucci che guarda alla Beat Generation (Corriere della Sera)

Un romanzo, un autore da leggere attentamente. Ci piace! (La repubblica)

PARABOLA DI UN SOGNO. Trama ed info acquisto

TRAMA
Tommy, il giovane protagonista, vive utopie e insegue ostinatamente i propri sogni. Dovrà ricredersi e vivere la dalusione quando scoprirà l'esistenza di un fratello gemello con il quale dovrà confrontarsi. La vicenda a questo punto si complica e assumerà il carattere di un thriller.

INFO ACQUISTO
Il libro, presentato alla fiere internazionali del libro di Torino e Francoforte , è reperibile in tutte le librerie d'Italia, ordinandolo, e nelle librerie fiduciarie della casa editrice Sovera Multimedia (http://www.soveraedizioni.it/)

I RAGAZZI DELL'ALA "A". Info per acquisto.

E' possibile acquistare il libro:
- dal sito della Pulp Edizioni (http://www.pulpedizioni.it/);
- direttamente su tutti gli scaffali delle librerie partners della Pulp Edizioni;
- richidendolo in tutte le librerie d'Italia, puntualizzando al gestore l'ordine dal sito http://www.webster.it/ o dal sito della Pulp.

PARABOLA DI UN SOGNO. Recensione di Adriana Faranda (scrittrice)

Un libro amaro, Parabola di un sogno.
Dove la parabola dell'utopia anticipa e domina tragicamente la parabola dell'ascesa e del "riscatto" sociale. Un libro dove non ci sono buoni e cattivi, né morale, o coscienza.
Una storia cinica alla Chabrol, con un finale americano e beffardo.
Un libro in cui si può intravedere più di una metafora…
la fine dell'utopia come dimensione filosofica, ovvero… il primato dei modelli
i due figli… il nord e il sud, i privilegiati e i diseredati.
Una storia maledetta, congegnata con ironia e intelligenza, che apre un desolante spaccato su alcuni aspetti della cultura dell'oggi.
Solitudine e misoginia, in questo protagonista senza amore e senza rapporti, frustrato da un lavoro alienante e ripetitivo.
Il dramma dell'emarginazione su cui si innesta quello dell'autoemarginazione…
Nessun incontro, se non venato di disprezzo. Nessun dialogo, se non fugace – come quello con Fede. E anche qui gli enunciati una volta poetici dell'utopia sono già contraddetti e negati dalle scelte ormai in corso, dai sogni divenuti prosaici, dall'individualismo esasperato. Quasi un vestito, ormai, una danza piumata per attrarre l'unica donna che sfugge all'amore mercenario.
L'utopia ha già fatto il suo giro di boa, la sua traiettoria declina inesorabilmente verso lo stagno del rancore e vi annega, corrosa dall'invidia, imprigionata nei legacci della misantropia.
In un mondo in cui gli orizzonti si spingono verso l'infinito nel cosmo, frugando fino alle origini della vita e giocando con gli universi paralleli, gli orizzonti di Tommy recedono nel desiderio di una vita altrui. E poco importa che lui sia convinto che gli appartenga di diritto. Nessuna traccia di utopia, del desiderio di inventare l'inedito, degli orizzonti sconfinati. E la traiettoria di Tommy procede incontro al suo destino.
L'incapacità di relazioni umane si fa progressivamente indifferenza alla vita. Nessun rapporto con il fratello ignaro, nessun tentativo di dialogo. Tommy è soltanto un occhio che lo spia, l'intento predatore e vendicativo, il giudizio già formulato. La convinzione di essere migliore. Un'altra metafora, forse involontaria?
La musica, una volta sfera di sublimazione del non vissuto, si fa sottofondo, colonna sonora di quella nuova vita tanto agognata, in cui sfuma gradatamente la vecchia identità di Tommy.
E l'assenza di qualsiasi morale riemerge nella conclusione del libro, dove il rifiuto della giustizia si tinge di codardia esistenziale, dove non è la coscienza che si affaccia ma i suoi stereotipi: ideologico e sociale. Dove le ragioni del tacere, che si ammantano della retorica del rifiuto della giustizia formale, cadono miserevolmente sotto il comando del giudizio sociale, con i suoi pregiudizi e i suoi tabù, con la sua scala dei valori: meglio, in fondo, essere uno che uccide prostitute…
La parabola è conclusa, e l'orizzonte un'insignificante linea retta…
Bravo, Wood! Non so quali fossero i tuoi intenti, ti conosco ancora troppo poco… ma hai scritto un gran libro. Non tanto sulla parabola di "un" sogno, ma sulla crisi dell'utopia nel nostro mondo…

Aforismi

La grandezza delle tue idee è proporzionata alla stessa di quelle del nemico che colpisci.
 (Wood)

Mai detto che non mi sarei sposato, solo che non lo avrei mai fatto dinanzi un sindaco od un prete.
 (Wood)

La differenza tra chi prega e chi spera è che il secondo non guarda in cielo.
(Wood)

Quelli come noi sui muri non ci piangono... quelli come noi i muri li abbattono.
(Wood)

Non necessita avere padroni per essere un servo.
(Wood)

"Parlamentare" è il connubio tra le parole Parlare e Mentire.
(Wood)

Il mio io ha un conflitto interiore, ormai è in fase di divorzio.
(Wood)

Il giorno dopo ogni elezione ci si chiede sempre chi è il vincitore, ma l'unica cosa certa è che ha perso il popolo.
(Wood)

Meglio camminare a testa alzata che a braghe abbassate.
(Wood)

Se Marx si sta rivoltando nella bara, Bakunin la sta fracassando a testate.
(Wood)

L'unico modo per esprimere la propria opinione è il non voto.
(Wood)

Il gioco è l'oppio degli sfigati.
(Wood)

La differenza tra un rivoluzionario ed un terrorista è che il primo ha preso il potere.
(Wood)

I confini sono il pretesto per le guerre e i mondiali di calcio.
(Wood)

La religione è storia, i suoi miti leggenda.
(Wood)

La penna è il fucile del poeta, l'inchiostro le cartuccie, l'anima ne è il caricatore.
(Wood)

Quando un uomo imbraccia un'arma, non ha più nulla da perdere. Quando la depone, ha perso anche la vita.
(Wood)

Conviene non cercarla troppo l'utopia, altrimenti non ti resta nemmeno quella.
(Wood)

Di più stupido dell'uomo c'è solo la donna.
(Wood)

La guerra è futile quasi quanto la non violenza.
(Wood)

Le vie di mezzo sono per gli uomini medi.
(Wood)

Ogni minuto nasce un gonzo, ogni secondo ne muore uno.
(Wood)

L'unica cosa positiva della morte è che quando arriva te ne togli pensiero.
(Wood)

Non basta pigiare un comando su un arnese meccanico cento volte al dì, ottenere due mediocri istantanee, per definirsi artisti... Michelangelo ha solcato un unico, enorme ammasso marmoreo per il suo David.
(Wood)

La mia religione è l’ideologia. La mia confessione, l’utopia.
(Wood)

L'inizio è bello quando è anche la fine.
(Wood)

Per prevenire i futuro, curare il presente, devi vaccinarti al passato.
(Wood)

La bandiera della pace ha efficacea solo quando viene sventolata da un solido bastone.
(Wood)

Non esiste solo la storia, c'è anche la controstoria.
(Wood)

La rivoluzione si fa con le cravatte, non con le Kefiah.
(Wood)

Serve di nessuno, padrone solo del suo cane.
(Wood)
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venerdì 13 maggio 2011

I RAGAZZI DELL'ALA "A". Passi.

"Quell’anno lo impegnammo quasi appieno, contribuendo alla scalata verso la gloria di quello che di lì a breve sarebbe divenuto il più grande partito comunista d’occidente, nell’umile e servile alla causa attacchinaggio dei manifesti rossi tra cancerogene colle, freddi da geloni ed ansie da imboscate fascista".

"Riuscivo a percepire l’effluvio del sangue tutto, quello nero e rosso che, schizzando fuori dai corpi degli esagitati contendenti, si andava a spiattellare sull’asfalto, sui tavolini, le sedie, le spranghe".

"Percepivo rivoli di sangue e di sudore colarmi dal volto, ormai tumefatto, e da ogni poro del mio corpo. L’adrenalina iniziale si era fatta soccombere da un’incosciente foga di spavalderia. E con questa mi battevo, senza minimamente pensare alle conseguenze che la stessa potesse comportarmi. Non ero più in me".

"E ricordate compagni  (…)  la morte colpisce la schiena dei vigliacchi e degli eroi, cioè chi fugge e chi non riesce a trovare nessun assassino che osi affrontarlo a viso aperto... Sta a voi scegliere come morire".  

"Se ripenso a ciò che provavo in quegli attimi… Le mie gambe danzavano il tip-tap, il cuore pompava sangue in un modo così dirompente che potevo addirittura sentire lo sgorgare dello stesso tra le mie vene, la pelle tutta trasudava gelido sudore che si andava ad impregnare negli abiti, inzuppandoli, la testa era in stato confusionario, pesante… ma colma di nulla".

"(…) e l’ascolto quasi all’ossessione di Springsteen: era il periodo dell’uscita del suo capolavoro Born to run, con il cui album mi resi conto ancor più della fortuna che avevamo avuto, grazie al prodigioso potere della ferraglia, il metallo, la plastica e il silicone nel trasformare l’aria vuota in musica, a vivere in quegli anni. Sublime magia!".

"Facemmo quegli scalini due, tre alla volta; un' unica rampa di gradini che però ci spezzò il fiato. Sentivo gli ansimi dei miei amici, i loro sospiri affannati ed i battiti del mio cuore che tutti insieme facevano un gran fracasso".

"Per quanto era silenziosa quella notte riuscii persino ad avvertire il suono del vento; del vento che nonostante fosse di una leggerezza unica tinnava nelle mie orecchie quasi trasportasse arpe, xilofoni e cetre che poi si andavano ad infrangere contro pareti di cristallo. Era l’unico suono quella volta, a parte, naturalmente, quello del silenzio".

mercoledì 11 maggio 2011

I RAGAZZI DELL'ALA "A". Trama e nota dell'autore

TRAMA
Valerio Montini è la voce narrante di questo libro. Di estrazione proletaria, Valerio vive insieme ad un gruppo di amici, tutti figli del Sessantotto ma di provenienza sociale ben diversa dalla sua, il periodo degli “Anni di piombo” in tutta la sua escalation rivoluzionaria più radicale, passando dalla storica battaglia di Valle Giulia, alla politicizzazione estremistica, sino ad arrivare alla clandestinità con tutte le cause che a questa lo hanno portato.
Lo scritto, dove invenzione e realtà storica procedono di pari passo, è scorrevole, ben strutturato, con un linguaggio che, specie nei dialoghi, cerca di avvicinarsi il più possibile a quello che era l’idioma utilizzato dai “rivoluzionari” dell’epoca. Il tutto abilmente contornato dai continui riferimenti a quelli che erano i costumi, le mode e soprattutto le musiche dei giovani del tempo le quali, queste ultime, vanno a costituire un romanzo nel romanzo: spesso una frase, un periodo od un capitolo vengono anticipati o conclusi dal testo dell’icona rocker di turno.
Un opera storica impregnata di utopia, idealismo e radical credo assolutamente da leggere… magari a lume di candela.

NOTA DELL'AUTORE
I personaggi di questo libro, come del resto i fatti narrati, non sono reali. Ciò che è reale è invece il contesto storico, varie ambientazioni e soprattutto i molti accenni a quelle che sono le vicende e le persone che hanno caratterizzato quel periodo storico della nostra Repubblica comunemente noto come gli “Anni di piombo”. Devo pur dire però che le storie riguardanti i protagonisti dello scritto sono simili alle tante vissute da centinaia o migliaia di giovani dell’epoca in questione. È un romanzo storico? Beh, questo non saprei dirvelo neanche io, visto che la Storia viene scritta sempre dai vincitori, ed i personaggi da me narrati hanno perso tutto: battaglie, identità, lavoro, libertà, o anche la propria vita. L’unica cosa che forse non sono riusciti a perdere (a dire il vero non molti di loro) è la dignità… ma il fato ha voluto che essi lottassero in un epoca in cui la dignità era l’ultima delle qualità necessarie per passare  alla Storia, e da eroi.
Prima che vi immergiate nella lettura una cosa è importante che io premetta: molte delle azioni compiute da questi personaggi sono spregevoli, incomprensibili ai più, e forse al limite della saviezza umana, ma almeno una cosa vorrei dire a loro discolpa, ovvero che sono stati condannati dal solito fato (ma non solo…) a trasformare la loro sensibilità in violenza… Ed anche qui questo non gli è stato di certo amico.

sabato 7 maggio 2011

I RAGAZZI DELL'ALA "A". Prefazione di Marino Severini (The Gang)

Attraversando queste pagine mi è tornata in mente una canzone “Scacchi e Tarocchi “ di De Gregori. “… erano giovani vite dentro una Fornace! “. La storia che Wood racconta è una di quelle che, più che ardere dentro una fornace, divamparono in una Stagione all’Inferno. Quell’Inferno che non fu condanna ma scelta, passaggio inevitabile per la liberazione, per la salvezza, per il Paradiso. Le vie del “Signore“ sono Infinite !!! E coloro che scelsero di imbarcarsi sul traghetto di Caronte sapevano bene che per loro non ci sarebbe stato Ritorno, che niente sarebbe stato più come prima. Non un’avventura, non una prova, ma una Scelta!
Nessuno arrivò alla fine del Viaggio. C’è ancora chi è tenuto in ostaggio in qualche girone infernale, chi si nasconde e si ripara in Purgatorio e chi si è spinto più in là… ma ha trovato i cancelli del Paradiso chiusi, blindati, sigillati.
Non fu una questione di Potere ma di Riscatto. E lo pagarono, con le loro vite. Al tempo de La Rivelazione, dello Svelamento.
Restano le Storie, non la Storia, quella, si sa, non conosce il bene e il male, non si affida a nessun Dio, ma si concede solo a chi le assomiglia.
L’angolo da cui Wood racconta è inedito. Non è una postazione fissa, ferma; pur essendo in movimento non cammina. Non ha fatto quella strada e quel Viaggio. Il suo non è neanche un andare a ritroso, una ritirata o un Ritorno alla ricerca delle tracce, delle vie di Fuga… Il suo è un movimento circolare, come quello di chi vede da una Giostra. E fa un altro Giro. In questo sguardo ritrovo l’occhio eterno. Di chi vede cercando continuità e legami fra passato e futuro e il tutto si perde in un presente circolare, nell’emozione del giro intorno alla storia che lo circonda. Ho trovato tutto ciò indispensabile come modo di porsi nei confronti di “fatti” che non possono e non vogliono essere raccontati in altro modo.
Un’eternità di lacrime calde, ecco la visione finale, per dirla con Rimbaud. Quella di chi ha sempre perso e resta invincibile, di chi continua ad avere fame e sete e per quello c’è ancora qualcuno che lo scaccia. “ Fanciulli abbandonati sulle rive di una diga che si slancia in mare aperto “. E Wood va su quelle rive e fruga fra i giunchi alla ricerca di colui che è nel Cesto, e ne ode i singhiozzi…
Le sue sono parole di cristallo che provano a forzare i cuori sbarrati, parole che chiamano Fuori.
Fra la trincea e il cannone c’è ancora quel breve tratto di aria leggera e di prato che ancora vale la pena di attraversare di corsa, per un Altro Assalto… al Cielo!
Fraternamente, Marino.

I RAGAZZI DELL'ALA "A". Recensione di Fausta Dumano (scrittrice)

Un romanzo, “I ragazzi dell’ala A”, che cattura sin dall’inizio. La storia di un gruppo di giovani che vive la gioventù nell’euforia degli anni settanta. La scoperta della politica unisce il gruppo, un gruppo che lentamente decide di entrare in guerra, sconvolgendo la propria e le altrui esistenze. In
questo straordinario romanzo con una voce narrante interna si ripercorrono le vite dei protagonisti, le loro scelte, il rapporto forte che li ha legati e poi contrapposti in una dinamica complessa e dolorosa.
Un romanzo che entra nel cono d’ombra che è tanta parte del nostro recente passato, una ricostruzione cronologica storica documentata con riferimenti reali: la strategia della tensione, il ruolo dei Servizi Deviati, i gruppi rivoluzionari.
Attraverso il “Gruppo Metropolitano d’Assalto”, che esiste nella finzione narrativa, Wood ci consegna la parabola dell’inesorabile procedere nella galassia dei gruppi armati di sinistra ricostruendo con una mirabile precisione quegli anni, consegnandoci un romanzo che è forte e crudele e nello stesso tempo struggente e doloroso.
La voce narrante è quella di Valerio Montini, un idealista, un sognatore. Potremmo considerarlo il gemello di Tommy, il protagonista di “Parabola di un sogno”, il romanzo d’esordio di Wood. Un idealista che rimpiange di non essere stato partecipe a quella fantastica stagione di protesta del Settantasette, quella stagione che è anche espressione degli Indiani Metropolitani, della fantasia al potere, dei collettivi femministi, del personale che è politico e viceversa. Stramaledice di averne voluto incarnare e rappresentare la scheggia impazzita.
Idealista perché fino in fondo aveva creduto nel suo sogno.
Ma non è solo il tema dell’idealismo a legare i due romanzi; l’altro filo è la musica. Una musica che giunge sempre in soccorso delle azioni, dell’inquietudine dell’uomo. Cat Stevens, perfetto in quell’attimo con Gloria con Wild word, Bruce Springsteen con Born to run in soccorso nella parabola dell’avventura rivoluzionaria sono solo alcuni esempi delle note rock di cui si circonda la storia. L’io narrante di Valerio Montini ci consegna anche quella miscela deflagrante fatta di iodio, potassio, idrogeno, ossigeno, ma anche delirio di quell’amore più forte della rivoluzione, un amore sull’altare, un matrimonio con l‘abito bianco alla faccia di tutti i settari imperativi che il credo detta. Una storia d’amore particolare se inserita in quel contesto. Un romanzo, questo di Wood, che coinvolge, catturando anche con un uso sapiente del linguaggio. Un libro da leggere, un libro da non perdere… un libro che farà discutere.